Musica: Brigade des Stups - Serge Gainsbourg
ON AIR
Dopo due anni intensi in Mozambico a
cuocermi al Sole,
tornai al punto di partenza: Lisbona.
Ero così con il culo a
terra che manco ci volevo tornare in Italia.
A Natale, a dover dare anche certe
spiegazioni
e senza i soldi per fare dei regali
o per garantirmi un soggiorno edonistico
a base di cappuccini, brioches, creme, cannoli,
ripieni e altre delizie
quotidiane.
Pizze, panzerotti, tortellini, ma pure il kebab
è meglio in Italia
cazzo.
Maledizione sto sbavando sui tasti.
Il rientro nel Gran Regno del
Benessere Europeo
fu ammortizzato dall’accoglienza
del mio caro amico Antonio
Imperatore,
perfettamente accomodato nella
“Luciano Cordeiro de Montezemolo”
(come
la chiamo io)
in un quarto piano con balconcino-miradouro privè
orientato verso
Ovest, concedendo una meravigliosa vista
che và da sinistra dalla collina che
sovrasta
l’Avenida da Liberdade, dal Torel a Santa Marta,
facendo da cornice agli
edifici più alti della Baixa,
il Convento do Carmo, la cresta del Bairro Alto
fino
al giardino botanico di Pricipe Real e poi su,
fino al bandierone in cima al
parco Eduardo VIIº.
Si vedono spuntare anche il Cristo Rei
e le punte dei
piloni del Ponte 25 Aprile.
La vista era appagata dalla silouette
delle palme e del Cristo,
dalle guglie neoarabe do Palácio Ribeiro da Cunha,
dalla macchia verde sottostante nel
giardino
tra le pietre e i metalli dei palazzi moderni,
un Tropico di Lisbona
che s’incendiava ad ogni tramonto.
Iniziavo ogni giornata con un buon
caffè
ed una vista sulla città che amo.
Sentirsi presente e con un posto in prima
fila.
La parte creativa venne subito
stimolata
dal conoscere il coinquilino:
Foggy.
All’anagrafe Franceso Pintaudi, un vero artista maledetto
che compone
musica alternativa e suona in giro
con live set ballerecci e cover band che
sanno davvero
coinvolgere il pubblico. Tipo con la band “Ginga Milanesa”
che unisce pezzi brasiliani
e pezzi italiani,
una ballata esplosiva. Un pezzo che rappresenta bene
il suo
lavoro in studio invece è “My Day”.
Foggy è ideatore anche del progetto
“Wattafog”
un trio di musica alternativa che m'ha conquistato da subito.
Specialmente per i pezzi non ancora
pubblicati.
Insieme iniziammo una collaborazione
con il video per la musica “Mind”,
unendo alcune delle mie immagini catturate
in due anni di Mozambico ad un pezzo dei Wattafog.
Iniziai a procurargli date e a
viaggiare con la sua musica.
M’ha ispirato per tanti altri video
che attendono di essere realizzati.
Nel frattempo ricomponevo i pezzi
della mia vita Lisboeta.
Nella lista degli sbatti
c’era, ovviamente, la banca.
Avevo lasciato due anni prima il mio
conto europeo
con dentro cento euro o poco più,
pensando di non doverlo usare e
di dover creare un conto nuovo in Mozambico.
Cosa che non è mai successa perchè
per avere il conto
ci voleva il contratto di lavoro
e ora che la burocrazia
dell’altro tropico permise
che il contratto fosse stipulabile, era passato un
anno e mezzo.
Ero ormai un veterano nel nascondere i soldi
“sotto al materasso, dentro ai libri o
dietro ai cassetti”
come in una celebre scena di Puerto Escondido, di Salvatores.
In realtà il posto più figo e
affidabile
dove ricordo di aver nascosto dei soldi
fu nelle canaline dei cavi
elettrici o dove passano i tubi
dei condizionatori lungo le pareti.
Le canaline
hanno un coperchio a incastro
e raramente a qualcuno viene in mente di aprirle.
Parliamo di un percorso di vari metri lungo le pareti,
con sezioni apribili in diversi
punti e spesso la canalina
è occultata da un quadro o da un mobile.
Zero conta e zero sbatti, tanto non
bastavano e finivano comunque.
Maledetti soldi.
Solo una volta tentai usare la mia
conta on line.
Fu un delirio di numeri, codici
e contromisure di sicurezza
inespugnabili
anche per il correntista stesso.
Una frustrazione condita da
bestemmie a grappolo.
Odio abbastanza il nostro Sistema,
non funziona bene manco per noi e in più
è stato spacciato in tutto il mondo
come il modello da seguire.
E infatti guarda che puttanaio che è
ancora il mondo attuale.
Un vespaio. No, non una raduno di Vespe Piaggio,
un
puttanaio, esatto, senza goderci troppo.
Tipo il rigore sbagliato da Baggio. Una
delusione.
Per questo serve una rivoluzione.
La gente vuole sentirsi parte di
una squadra figa
e vincente! Sentirsi parte di qualcosa di giusto e funzionale,
che rappresenti questa famigerata intelligenza.
Attimi al ritorno dell’Impero
Ottomano
e Ming-hia poco ci manca che dobbiam imparare il cantonese.
Sogni
infranti.
Il Benessere e la capacità di
portafoglio degli anni ’80
ce la scordiamo, quello che i nostri genitori
avevano conquistato
non ha più eguali.
Meglio cambiare tutto, si fa prima.
La pagina gira da sola per lo
spostamento d’aria
dello schiaffo che c’ha riportato alla realtà.
Il nostro
consumismo è una malattia,
dobbiamo riprendere contatto con il nostro pianeta,
riscrivere le regole o almeno farle funzionare,
riscrivere i libri di Storia,
aule di Educazione Civica e Filosofia garantite a tutti
e cerchiamo di evolvere
davvero.
Si difendono da secoli sordide
alleanze e patti con il Diavolo
come se non ci fossero alternative in questo
Universo.
Probabilmente non si era mai arrivati ad averne così tanto coscienza
ma bisogna assolutamente cambiare.
Esistono centinaia di alternative da poter
sperimentare,
ma scegliere di sgrassar via la corruzione
e produrre con più
eco-logica, mi sembrano parte integrante
del nuovo menù della casa.
È quello a cui stavo pensando quando
andai in banca a verificare
se esistisse ancora il mio conto.
La sorpresa che
c’era ancora e che stava in positivo
con mille euro in più mi fece quasi
esplodere per la gioia
come un fuoco d’artificio.
Non credevo ai miei occhi :o
il monitor dell’impiegata
era abbastanza inclinato verso di me da permettermi
di notare il saldo
in basso a destra: +1.100,00 €
grazie a dei contributi
retroattivi della botta di culo che sono
che erano entrati col contagocce,
sessantasei euro al mese
senza mai essere intaccati,
fino a lasciare questo
mucchietto di speranza e ossigeno
per i miei conti disastrati alla “ad cazzum”.
Uscii dalla banca con la musica della
Champion League
a suonarmi in testa a tutto volume, ero salvo.
Biglietti, volo, Italia, Natale,
Capo-Danno, 2018
“quest’anno devo farcela” e tornai a Lisbona.
Conta ridotta ai
polpacci, punto e a capo.
La prima offerta di lavoro che mi
sfiorò diceva
<< ti diamo duemila euro per andare a Porto,
campagna
italiana per un cliente importante >>
accettai manco mi stessero già
anticipando del contante.
Si aprì così l’anno “del Gufo” e una nuova
esperienza:
Porto, Rua da Cedofeita.
La città dove atterrai nel 2010
arrivando in Portogallo per la prima volta
era proprio lei, anzi lui, OPO, O
Porto.
Otto anni dopo ci tornavo
completamente trasformato
e gasato dall’idea di conoscere e fare contatti utili
anche nella seconda città portoghese, la più industriosa
e nuova regina di
visite turistiche anche in testa a Lisbona,
eterna rivale dell’orgogliosa Invicta.
L’unico contatto che avevo era Bob
Figurante,
grande amico, rastone mezzo mozambicano,
dj Reggae da vent’anni,
organizzava ad ArtCasa
la serata Reggae e open mic.
Una volta mi fece notare che
l’artista Slow J
che apprezzo tanto e che scoprii solo grazie ad Helder
proprio
in quell’anno portuense, era uno dei tanti che veniva,
ai tempi, ad
approfittare l’open mic in ArtCasa.
Porra!
Bob non fu solo accogliente, è la mia
famiglia a Porto.
Con Bob posso solo imparare senza
sosta,
a proposito di permacultura, di piante, di cibo vegano
(resto comunque
un grande onnivoro, mi sbrano anche il divano),
di musica Afro, Funk, Dub,
di
dinamiche e spazi culturali portoghesi
dalla Serra da Estrela all’Algarve.
Il
suo divano in sala è uno mio grande amico.
La sua raccolta di documentari:
un’Odissea spazio-temporale tra congetture e strippi.
Mi fece conoscere due cose
fondamentali,
oltre al suo divano in sala: Beto; un amico capoverdiano
che mi
fece entrare nella Pensione Almeida,
dove ho vissuto i miei otto mesi a Porto,
e lo Spazio Compasso.
Un centro culturale davvero alternativo
che nasconde un
giardino incredibile per stare a due passi dal centro di Porto.
Con piante
secolari, coltivazioni, fiori,
spazi per rituali ed il fuoco, centrale, di
fronte al palco.
Ho vissuto serate incredibili, come stando nel mezzo di un
bosco
ma in centro a Porto.
One Love, davvero.
Espaço Compasso – Rua da Torrinha 113.
Un’anonima porta bianca di un palazzo nasconde un lungo corridoio
che finisce
all’entrata di questa associazione pacifica e volenterosa.
Oltre alla sala
degli eventi si accede al giardino,
un luogo magico e fuori dal tempo,
dove
ammirare le ragazze a ballare intorno al fuoco,
sentendomi come un satiro
felice in una baccanale.
Fate o ancelle, sono tutte belle.
E adoro distrarmi a
guardare le stelle
o a cercare la Luna tra le fronde degl’alberi.
In Africa avevo imparato a vedere più
spesso la magia
e adesso la ritrovavo ovunque. Spettacolo.
Ho fatto più amici portoghesi a Porto
in otto mesi
che in cinque anni a Lisbona, davvero tutto un altro ambiente.
Rustico, genuino, prezzi ancora contenuti anche in molti angoli del centro,
come alla Tasca Espresso in Piazza Carlo Alberto,
piazza dedicata all’omonimo
monarca dei Savoia
che ci visse in esilio a causa dell’invasione Austriaca nel
1849.
Tra l’altro morto a Porto appena quattro mesi dopo il suo arrivo.
Colpa
il profondo dispiacere o complotto? Bah.
Povera Italia, scopata e maltrattata
da tutti.
Porto vive ancora di associazionismo
e di altre iniziative
dove basta che si balla forrò e và tutto bene.
Per fortuna mia, anche le serate con
djs,
musica elettronica e altri stimoli sensoriali vanno sempre a ruba.
Iniziai a farmi conoscere con qualche
esposizione di foto
e proiezioni di video dal Moz accompagnate da musica ao vivo
o con gli expo beat del
“Colectivo imprevisto” al Compasso,
poi qualche data all’Embaixada, a Casa Bô,
improvvisando al Miradouro das Virtudes e na
Rua das Flores
o sul lungo fiume e lasciai un lungo elenco di altri posti
dove vorrei far suonare e organizzare un evento.
Porto è cool. Senz’ombra di dubbio.
E tra tanti posti uno mi colpì in
particolare,
anche per il fatto di essere poco conosciuto: il Miradouro Ignez.
Porto, Miradouro Ignez.
São João era alle porte e bisognava
farsi trovare pronti.
La festa patronale di Porto è meglio
di un capodanno.
La collaborazione con il Miradouro
Ignez poteva significare
un’intera stagione di eventi e serate musicali
in uno
degli spazi più alternativi e stilosi
di Porto.
L’entrata è dal livello più alto, alla
terrazza del miradouro,
accesso con rampa dalla ripida Rua da Restauração,
la stessa via del Consolato Italiano percorsa
anche dal tram 18.
Miragaia e Alfândega a vista più
tutto lo splendore del Douro che,
curva a curva, sfocia nell’Atlantico appena
dopo il Ponte da Arrábida.
Sulla mappa è facile incontrare il
Miradouro Ignez:
appena sotto ai giardini del “Palazzo di Cristallo”
o Palácio de Cristal tanto nominato
ultimamente
per la diatriba sul nome do
novo Pavilhão Rosa Mota
conteso
con il commercialissimo nome Super Bock Arena.
Una volta entrati al Miradouro Ignez ci
si può accomodare
e approfittare la vista panoramica verso Ovest = Sunset
assicurato
e usufruire del bar oppure scendere le scale fino al secondo
livello:
altro terrazzo più ampio e bar interno al chiuso collegato alla cucina.
Scendendo fino al terzo livello ci si
trova nella sala principale
e al corridoio che porta ai bagni.
Il terzo livello
è il punto più basso all’altezza della Rua
Sobre-o-Douro
che dà accesso al Bairro Ignez.
Interessante percorso a piedi
tornando verso Virtudes.
Lo spazio è in ottime condizioni,
perfetto per un dj set
tanto quanto per un’esposizione con proiezioni video
e
installazioni lungo un ipotetico percorso che iniziai a disegnare mentalmente.
Tutto ristrutturato e pronto all’uso.
I gestori erano così occupati che
nessuno aveva tempo
per trattare l’agenda degli eventi e delle serate,
per
questo mi proposi entusiasta per aver trovato un posto
semplicemente perfetto
per ospitare un nuovo movimento.
Dopo quattro mesi nell’Invicta contavo sulla collaborazione di:
Bob e relativi contatti in tutto il Portogallo,
due gruppi di djs, di cui un
gruppo legato ad una rivista
specializzata in musica elettronica e techno
party,
altri sei diversi dj, Helder e le sue interessanti connessioni nel mondo Dub,
una
cantautrice Venezuelana a solo o in duo,
un trio jazz, i vari artisti che
passavano dal Compasso
o che incontravo a suonare lungo la Cedofeita
o in altri
punti strategici e romantici della città vecchia.
Poi anche un suonatore di
marimba Messicano
che parla benissimo anche l’Italiano,
un gruppo di giocolieri
Greci,
qualche buon fotografo per le esposizioni o per documentare le serate,
tra
cui Itay, poi Sven e relativi contatti con vari artisti portuensi
e tutto
l’entusiasmo ed i saggi consigli di Moreno, un caro amico italiano.
Per andare sul sicuro organizzammo
due giorni prima di São João un set
per testare le casse e l’attrezzatura.
Mi
motivava lavorare in un posto così speciale,
ogni amico che lo scopriva
entrandoci rimaneva colpito.
E non c’è niente di meglio di un bar che è anche
un posto abbastanza romantico da tornarci in buona compagnia.
Montammo tutto con calma, io e Bob,
rituale durante la prova volumi,
vista da cartolina, “presa bene” in consolle.
Tra le varie chiacchiere anticipai a
Bob la mia idea di scrivere racconti
legati a delle musiche, marche impresse
nella memoria, “Lividi Vinilici”.
Trattandosi di un dj con una vasta cultura
vinilica,
gli chiesi se conoscesse qualche canzone curiosa legata ad una
storia.
Dopo una pausa meditativa Bob mi
rispose sorridendo:
<< Les Brigade des Stups. >>
Le cosa?
<< Brigade
des Stups de Serge Gainsbourg. >>
Sorride e mi racconta:
<<
Ginzburg era un grande artista e attivista francese,
adorava essere
provocatório e in questa musica
“Les Brigade des Stups” prende in giro la
polizia raccontando
di quando una poliziotta, perquisendolo, gli mette le mani
in tasca
e a causa di un buco nei pantaloni la poliziotta si ritrovò in mano il
suo cazzo! >>
E ridendo mi canta:
“Ils ont cherché mon splif,
Ils ont trouvé mon paf!”
E in italiano mi enfatizza il “ma cazzo!”
Quanti stranieri annoverano questa
esclamazione tra le cose
che sanno della lingua italiana.
Bob conosce bene anche “ma dai!” , “ma come!?” ,
l’immancabile “ma
vaff’anculo!” , “allora” e “domani”.
Le ripete spesso.
Tornando a Gainsbourg/Ginzburg, Bob mi spiega
che era un artista popolare in Francia.
Uno di quelli che contrastava l’odio
e
l’intolleranza razzista dell’elite francese verso gli immigrati.
Un artista
sempre in prima linea.
Promisi dedicarci una bella googolata e un Livido Vinilico.
Lasciammo scivolare lo sguardo lungo
il Douro
e verso le colline scure di Vila Nova de Gaia
che s’illuminavano a
presepe annunciando un nuovo crepuscolo.
Neanche potevo immaginare la
confusione
e il delirio che stavano per scatenarsi con la Festa di São João
da
lì a due giorni. La temperatura era perfetta
e i dischi reggae ci cullavano in
quest’ennesima attraversata notturna.
Navigazione a vista e poche
illusioni.
Porto; granitica, verticale, tagliente, umida, sinistra,
piena di
studenti vestiti a corvo, fiumi di birra,
un fiume di vinho do Porto e un fiume di turisti stupiti
per la bellezza della
città e per i suoi prezzi abbordabili.
A scaldarmi l’entusiasmo a Porto
furono solo gli amori
ed i piatti appena usciti dalle cucine.
Il resto era una
silente accondiscendeza ai vuoti e alla corruzione della vita,
giorno per
giorno. Sognando di fare più soldi, di sistemare un sacco di cose,
rattoppare la
vita e ritornare presto in Mozambico.
Al caldo e nella confusione umana da
incontri ravvicinati
che lascia spazio alla fantasia più pura e disinibita che
abbia conosciuto.
Porto per me è un capitolo ancora tutto aperto,
da continuare a scrivere.
E proprio per questo l'adoro come un’amante,
senza nessuna fretta di voler regolarizzare il nostro rapporto
e senza nessuna
fretta di fare all’amore preoccupandosi del sapore
che potrebbe avere sapere
che è l’ultima volta.
Prendimi così Vita, sempre di
sorpresa.
Dolce e mielosa come la principessa
più esotica
che potessi incontrare nel mio abbraccio
e nella mia umile stanza da
scrittore lungo l’antica Cedofeita.
Paf!
Foto e testo di Simone Faresin.
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