martedì 3 novembre 2020

Città vuota.

 

Il tempo degli arcobaleni

(Andrà tutto bene)

di Simone Faresin.





Raccolta di Racconti. 2/7 "Città vuota" 
Musica: Mina - Città vuota



Livido Vinilico è un blog ed un mio progetto letterario dove unisco racconti brevi ad una musica, un ricordo, un’esperienza (il livido) legata ad una musica (il vinile). M’ispiro ad una sinapsi che avviene nella testa di tutti noi esseri umani anche involontariamente. 

Le immagini delle strade svuotate dal traffico e dalle nostre attività quotidiane in ogni città del mondo mi riportano in mente una canzone di Mina “Città vuota”. Dedico questo racconto a tutti quelli che hanno avuto lo stesso pensiero. La grande cantante Mina Mazzini nel 1965 si riferiva ad una storia d’amore, ad una passione forte nel cuore.


E so che la città
Vuota mi sembrerà 
Se non torni tu. 


Non avendo, purtroppo, un grande amore nel cuore da aspettare, io la interpreto pensando ai miei eventi culturali, alle mie iniziative con la mia associazione, con i miei soci ed amici. La mia vera e grande passione oltre alle donne. Sento la mancanza dell’azione, di poter intraprendere iniziative nuove, la presenza vitale del pubblico, l’emozione prima dell’evento quando mi chiedo se andrà tutto bene, se verranno abbastanza persone. Adesso invece mi rendo conto che le nuove iniziative, oltre a dover essere rigorosamente online dovranno essere a numeroso chiuso, tipo per i primi che arrivano o che prenotano. Un’esclusività che riduce il raggio d’azione di un evento culturale. Pois

Bisogna arrangiarsi in qualche modo. Chi prima arriva meglio s’accomoda, come si suol dire da secoli. 

Anche la prima sinapsi che m’arriva in testa è la prima a vincere e a conquistare il mio tempo e la mia attenzione. Pensare alla città vuota mi riporta alla canzone di Mina e all’ultima volta che l’ho messa a tutto volume, in una torrida giornata d’Agosto a Porto. 



Era Agosto 2018. 
C’erano 40º e tutta la costa occidentale stava soffrendo da una settimana, a Lisbona era pure peggio, 45º. 

Vivevo nella mia umile stanzetta in una vecchia pensione nella Cedofeita, una fortuna che ancora adesso ricordo con nostalgia. Avevo due finestre grandi e mi affacciavo su una delle vie principali di Porto, la prima città portoghese dove avevo messo piede nel 2010 quando arrivai curioso trascinato da un amore folle. 

Ci tornai dopo quattro fantastici anni a Lisbona e dopo due anni intensi in Mozambico, carico di storie ed esperienze, pieno d’ottimismo per fare più soldi, ricaricare le batterie in Europa e ritornare il primo possibile nell’altro tropico ad investire e ad aiutare amici e collaboratori per portare avanti progetti e sogni e invece incontrai sì un lavoro ma sprofondai in una miseria che più volte mi fece sospettare che la mia bella vita fosse finita.

Il mio ottimismo si affievolì, pensai più volte che avevo raggiunto l’apice e che ero in caduta libera. Avevo accettato una proposta di lavoro solo per l’incentivo di duemila euro che mi davano per spostarmi da Lisbona e unirmi ad un nuovo progetto internazionale. Un banale lavoro d’ufficio dopo due anni incredibili in prima linea in Africa. 

Avevo bisogno di lavorare, appena due settimane dopo essere ritornato avevo capito subito che non avrei trovato facilmente finanziatori per portare avanti gl’interessanti progetti socio-culturali che avevo piantato in Mozambico. 

A Porto avevo solo un amico, un contatto fidato. 
Ero eccitato all’idea di conoscere meglio la prima città dove ero sbarcato otto anni prima senza sapere niente della sua calçada, delle sue francesinhe, degl’azulejos, della sua storia e dei suoi vicoli ripidi come sentieri di montagna. 
L’unica cosa che conoscevo era il suo vino e la fama delle sue cantine lungo il Douro. 

Ho vissuto otto mesi a Porto e ho fatto più amici portoghesi in quei mesi che in quattro anni a Lisbona. Amici veri. 
Ad Agosto però, in quelle calde giornate non c’era in giro nessuno. 
Mi affacciai come al solito dalla mia stanza e rimasi colpito a vedere la Cedofeita deserta. 

Scesi al bar sotto alla pensione, il mio rifugio. La signora che gestisce il bar-tavola calda è stata come una madre. Se non fosse stato per la sua generosità di farmi mangiare ogni mese a credito (con saldo a fine mese) l’avrei passata pure peggio la mia esperienza al nord. Grazie a lei, anche senza soldi, non mi mancava mai il mio caffè al mattino e la cena alla sera. Quante volte ho pranzato a lavoro solo con una merenda mista, tanto che non ne voglio più sentire neanche l’odore. 
Nel weekend, salvo inviti a casa di qualche amico, pranzavo e cenavo al bar. 

Adesso che ci penso devo ancora recuperare una valigia e saldare un debito di cento e passa euro alla pensione. Maledizione, maledetta miseria. 

Ma almeno una cosa non aveva pezzo: passeggiare. 

La vecchia pensione è nella zona pedonale, tra la Rua Breiner e la Rua Miguel Bombarda, con le sue gallerie e la sua vitalità creativa. La Travessa de Cedofeita invece l’ho sempre snobbata, non ho più l’età per quei deliri etilici a tempo perso. 
Uscivo e percorrevo la Cedofeita fino alla Piazza Carlo Alberto, dove spesso già incrociavo qualche amico o scoprivo nuovi artisti di strada che invitavo ad attuare nei miei eventi o nelle associazioni che frequentavo. 

Costeggiavo l’Igreja do Carmo entrando in’innumerevoli foto e selfies lungo la parete decorata con gl’azulejos. Attraversavo la Gomes Teixeira guardando sempre più a sinistra per godermi il dettaglio della Fonte dei Leoni e la prospettiva con le cupole degl’Armazéns do Castelo, della Libreria Lello e degl’altri edifici storici prima della Rua da Galeria de Paris. Mi confondevo tra i turisti, gli skaters e gli studenti che affollano la piazzetta del Piolho e del Carmo e poi via, scegliendo ogni volta un sentiero diverso per attraversare il Jardim da Cordoaria, degnando sempre d’uno sguardo la Torre, sognando il giorno che ci salirò per filmare tutta Porto, poi via di nuovo lungo il mio filo conduttore, fino a scendere rapido i gradini in faccia al Tribunale e alla statua della Giustizia e rotolare, quasi, per la  Sousa Macedo fino al Miradouro das Virtudes, la piazza sociale di Porto e punto d’incontro tra mille nazioni e varie generazioni. 

Quel giorno il giardinetto era semi-deserto, anche i gabbiani sembravano sorpresi di non trovare nessuno da incomodare. L’aria stessa era calda e irrespirabile. Non avevo i soldi manco per comprarmi una birretta fresca. Continuai sconsolato la passeggiata come da rituale fino ad imboccare la Rua da Vitória. 

Strade vuote. 

Da una finestra aperta mi arrivava la voce di un notiziario da una radio. Tappa fissa all’angolo con le scalette e la vista della e dei tetti, degl’abbaini e dei lucernari che si susseguono fino alla Ribeira, tuffandosi nel Douro e risalendo poi il versante di Vila Nova de Gaia.

Il mio sguardo andava rapido da un punto all’altro come le planate improvvise dei gabbiani. Potevo non avere soldi ma non mi mancava mai una fumata. Faceva così caldo che dopo pochi tiri mi diede subito alla testa, gambe molli e per un attimo pensai che potevo finire steso per terra. Tornai lungo la São Bento da Vitória che è sempre più in ombra grazie agl’alti palazzi che la incorniciano fino al Largo Amor da Perdição. 

Nello chafariz da Porta do Olival un chiassoso quartetto di bambini si divertiva a rincorrersi e a lanciarsi nella fontana per togliersi il calore di dosso. 

Li guardai sorridente ma li stavo invidiando, mi sarei volentieri gettato anch’io nella fontana. Aspettai il momento giusto per non interromperli e andai ad immergere la testa nell’acqua ancora agitata dai loro ripetuti tuffi. 

Trovai finalmente sollievo e mi tornarono le forze per continuare il cammino. Mi sentivo ispirato e la musica di Mina già mi risuonava in testa. Nonostante Porto sia una città operosa, i suoi vicoli storici mi riportano ai paesini del meridione italiano, vivaci, spontanei, veraci. 

Tornai esausto nella mia stanzetta nella Cedofeita, pregustando la frescura di una bella doccia fredda. Trovai la musica, finestre spalancate e mi permisi, per una volta, di lasciare uscire a tutto volume la voce di Mina a inondare di poesia a rua vazia



Torna da me, amor
E non sarà 
Più vuota la città. 





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